Sulla cresta del Monte Circeo

Un bell'anello sulla montagna della maga Circe, a picco sul mare e sepolti tra la macchia mediterranea.


La montagna.

Avete mai provato a riflettere intorno al significato di montagna per più di cinque minuti, naturalmente oltre che per i nostri primari interessi escursionistici? Ci è stato insegnato fin da bambini che per montagna si intende un rilievo della superficie terrestre che si estende sopra il terreno circostante in un'area limitata, e che per essere tale deve superare di almeno 600 metri il dislivello sul livello del mare (s.l.m.). Le montagne sono anche i profili più semplici per delimitare confini tra gli stati, sono le barriere per i venti e le perturbazioni, aiutano a creare luoghi protetti dove è facile vivere o al contrario luoghi impossibili. Nozioni di geografia. Poi, crescendo, è diventata uno dei luoghi di vacanza, prima per le avventure da campo scuola e poi per le agognate settimane bianche. Di tanto in tanto passano alla cronaca: sono oggetto di speculazioni, dissesto geologico, franano a valle, tunnel che si devono fare , anzi no che non si possono fare, e giù soldi pubblici, battaglie politiche, ultimamente sono diventate facile bersaglio per gli istinti suicidi di depressi piloti; alla cronaca, per pochi a dire il vero e non fa più nemmeno notizia, ci passano anche quando gli “eroi” degli 8000 le sfidano fino al limite del possibile. E ne sentiamo sempre parlare quando si parla di effetto serra, dei ghiacciai che si riducono, delle scorte idriche che tali rischiano di non essere più e via così. Immagino però, lo spero, che anche per un solo istante, ognuno di noi l’abbia pensata come un “oggetto” di aggregazione, un forte “oggetto” di unione sociale. E su questo concetto se ci pensiamo bene si è costruito un movimento. Quante associazioni ci sono nate intorno? Dal CAI, la prima e istituzionale organizzazione di sempre, ai tanti gruppi che si sono amalgamati nel tempo; gruppi di amici che si sono dati una più o meno plausibile organizzazione e che sono poi sfociati in associazionismi; solo nel nostro piccolo territorio sono decine, solo per citare quelle che compaiono nel Web gli Zis, i Cavalieri della Polvere, i Lupi del Gran Sasso, noi di quelli di Aria Sottile, il nostro Club2000 che con il gioco della collezione di vette è stato capace di raggruppare più di 700 iscritti nel giro di pochissimi anni, mi perdonino quelli che non ho citato, i social network come Facebook o G+, i gruppi che al loro interno sono fucine di foto, progetti, racconti e suggerimenti; insomma la montagna oggi è una questione sociale che sta muovendo un mondo di persone. Si costruiscono storie, amicizie, opportunità importanti tutti i giorni sopra la montagna, tutti insieme, per gioco e per piacere abbiamo un potere immenso, quello di contribuire a formare e divulgare il rispetto per questo ambiente, quello di contribuire a formare cultura; è una carta che dovremmo saper usare, una grande opportunità. Tutta questa lunga dissertazione, forse, sicuramente, anche noiosa è nata dalla mia ultima esperienza, l’ultima escursione di sabato scorso, sul monte Circeo. Per quanto mi riguarda all’ombra del monte Circeo ho mangiato pesce, per me è quella sagoma scura che intravedo lontano ogni tanto negli spostamenti intorno a casa, lo conosco per via della leggenda che coinvolge la maga Circe, ma non l’ho mai considerata una montagna, non lo conosco affatto e mi incuriosiva da tempo. Luca e Giacomo solo tre settimane prima ci sono saliti; nello stesso giorno e per caso hanno incontrato quel mito di avventuriero ed esploratore che è Marco Sances. Beh, a tre settimane di distanza, complice un anello del monte mancato nella prima escursione e il mio desiderio di salirci, ci ritroviamo, loro ed io e Marina, ad intraprendere di nuovo (per loro) questa escursione. Queste cose, la voglia di stare insieme, incontrare vecchi amici, rivedersi dopo tanto tempo per passare una giornata insieme per il solo gusto di farlo, e farlo in maniera leggera (su un monte “facile”), accadono soventissimo in questo ambiente. La montagna unisce oltre la sua semplice essenza di agglomerato di roccia e teatro di avventure. Sette e mezza puntuali a Torre Paola, fine del lungomare, dopo il lago di Sabaudia proprio sotto le falde del monte che da qui con quel folto manto di vegetazione mediterranea che lo ricopre, appare scuro e ripido. Il piacere di ritrovare vecchi amici offusca la voglia di camminare, con Marco mi sono incontrato solamente in occasione del appuntamenti targati Club2000, è tanto che non lo incontro ed è la prima volta in assoluto che usciamo insieme. Biglietto già ripagato. Siamo in riva al mare, la temperatura è tiepida, con gli scarponi e lo zaino in spalla mi sento per un attimo fuori luogo. Non ho studiato il percorso, immagino sia scontato e poi con le guide che ho accanto sarebbe stato del tutto superfluo, stavolta mi prendo un po’ di relax. Il sentiero inizia in piano, accanto ad una segnaletica turistica su un casottino di legno che mostra i sentieri della montagna, il primo tratto, poche centinaia di metri, costeggia un nuovo recinto messo a protezione delle rovine di Torre Paola; in un punto è già divelto, non esistono recinti adatti a contenere la stupidità umana. Il primo incrocio lungo il sentiero è quello dove inizia il sentiero per la vetta che seguiremo, da quello che continua di fronte ci saremo di ritorno fra qualche ora; un altro cartello in legno avvisa che si tratta di un sentiero pericoloso, diciamo che potrebbe esserlo se preso con spavalderia e con attrezzatura non adeguata; siamo in riva al mare ma di montagna di tutto rispetto si tratta. Dall’incrocio il sentiero si inerpica subito, per una ventina di minuti su terreno compatto e poi, accompagnato da un “te lo avevo detto” di Luca che mi aveva invitato a rinunciare da subito ai bastoncini, su un terreno roccioso alquanto impervio e sconnesso. Continua così fino in cima, una rampa ripida fino ai 541 mt. della vetta, tratti di sottile traccia accostato alle rocce sporgenti seguito da tratti in cui necessita farsi largo tra la vegetazione; ogni qual tanto, una volta arrivati in cresta, dei terrazzi rocciosi con delle viste magnifiche interrompono la salita. La vista è davvero stupenda, da cartolina, già dal primo terrazzo, verso nord la duna sabbiosa dove scorre il lungomare divide il lago salmastro di Sabaudia da un mare calmo che chiude la sua rincorsa verso terra con una serie di basse spumeggianti onde. Nel lago infinite parallele file di galleggianti stanno a dirci che il bacino è vivo e che la mitilicoltura è ripresa alla grande dopo un periodo critico (sapete che il lago è di proprietà privata? Fate un giro sul Web, l’argomento è davvero interessante). Peccato la giornata sia nuvolosa, i colori non sono luminosi, l’azzurro del mare e del lago è opaco, quello del cielo per gran parte dell’escursione non esiste nemmeno. Riprendiamo a salire, ora superando ripidi pendii ora traversando, fino al primo picco, una delle cime secondarie del monte che si vede venendo da Nord, punta Istria; ovvio il panorama è ancora più vasto, rovinato sempre da nuvole che ora sono ancora più basse. Così basse verso Sud che coprono completamente la cima del monte. E che cavolo, proprio una giornata così dovevo beccare per la mia prima su questa particolare montagna? Rincuorava il buon Marco che vedeva in tutto questo un’ambiente quasi scozzese. Dopo il picco d’Istria rimane il tratto di percorso più tosto, quello per cui il cartello in basso vale eccome. Davanti abbiamo l’ultimo tratto della salita verso la vetta, una parete verticale che scende quasi fino al mare, buia, il precipizio sulle carte. In mezzo una lunga sella, sottile, delimitata verso il mare da una fila di rocce quasi fosse un parapetto e verso est da uno scosceso ed intricato bosco. Pochi sono i passaggi veramente esposti, molti quelli dove occorre avere familiarità con i profili aerei. Oltre la cresta il sentiero si inerpica decisamente, per lunghi tratti occorrono le mani, divertente più che complicato, ma mai da sottovalutare; se non fosse per la tipica macchia mediterranea che avevamo intorno e per gli affacci a picco sul Tirreno si dimenticherebbe facilmente di essere a due passi dal mare. Entusiasmanti gli ultimi cento metri di dislivello, roccia, roccia, scale e corridoi di roccia, tronchi di lecci per appigli, poi ad un certo punto spiana. Quando si incrocia il sentiero che scende verso destra, ad Ovest, e che dovremo seguire per completare l’anello ideato mancano poco più di cinque minuti alla vetta. Ci arriviamo immersi nella nebbia, due ore e cinque minuti dopo la partenza; la bandiera issata sul pennone (giustamente di pennone e non di croce si tratta, siamo al mare) è immobile. Non mi aspettavo questo aspetto decisamente più consono alle creste appenniniche che al mare. Si pente subito però, quasi a sentire la nostra delusione e mentre stiamo consumando uno snack, anche se per solo pochi minuti, decide di regalarci delle aperture che hanno quasi del miracoloso. Il mare che si infrange su Punta Rossa, la propaggine della montagna verso il mare, un posto affascinante ed isolato anche se appannaggio di diversi facoltosi viste le ville immerse nella vegetazione che si riuscivano a vedere. Richiamati da Marco, non severo ma perentorio, riprendiamo il cammino, a ritroso per pochi minuti fino all’incrocio appena descritto e giriamo verso Ovest. Il sentiero è meno affascinante, più selvaggio del versante Nord, si sta entrando nel cosi detto quarto caldo, forse meno esposto a venti freddi del Nord. La vegetazione sta invadendo i sentieri per alcuni tratti, lunghi traversi, alcuni impervi, pieni di roccette sporgenti impongono molta attenzione; continui saliscendi, nel punto più basso abbiamo perso circa duecento metri dalla vetta, altri su e giù fino a risalire quota 448 mt. del monte Circello. Il mare sempre in primo piano ma impressiona anche la piana ad Est, praticamente un unicum di serre e coltivazioni, una delle aree coltivate più intensivamente dell’intera penisola. Il mare e la montagna nel frattempo sono fucine di nuvole, sul fianco Ovest salgono veloci e dense e si perdono sulla cresta, verso Est non arrivano ed anche l’orizzonte è sgombro; riusciamo anche a scattare qualche foto del mare e del lago dove a predominare è l’azzurro; che contrasto, anche se bassa la vetta del monte da sensazione di montagna, è ripida e rocciosa, oltre, la lunga duna stretta tra lago e mare. Insoliti panorami. Scendiamo verso una sella ulteriore, davanti l’ultimo promontorio del monte, quello che domina San Felice e che è “infelicemente” dominato da una miriade di antenne. Per fortuna non dovremo arrivarci. Continuiamo immersi tra lecci, corbezzoli, mirto e rosmarino, incrociamo prima i resti di un fortino (un’ora e quaranta minuti dalla vetta) dal diametro di pochi metri, delle mura tronche alte un metro di forma circolare sono tutto quello che rimane e dopo circa venti minuti una strada asfaltata. Usciamo sulla strada la prendiamo verso sinistra per una trentina di metri e rientriamo nel bosco, un bel segnale in legno indica il sentiero di ritorno per Torre Paola. Continuando la strada avremmo intercettato quello che traversa a mezza costa ma non vedevamo l’ora di toglierci dall’asfalto. Il primo tratto del sentiero non è gran che, segnalato sugli alberi ma non è ben battuto, un po’ sconnesso e in alcuni tratti ripido, bruttino; dura poco per fortuna, intercetta dopo una ventina di minuti il traverso a mezza costa che avevamo intenzione di percorrere. A sinistra per Torre Paola, ormai solo chilometri da percorrere , circa cinque per la precisione, e pochissimo dislivello, tutti in mezzo ad un bosco di lecci e qualche affascinante quercia da sughero. Il bosco ormai è lussureggiante, vista preclusa verso la montagna e anche verso valle. Filiamo veloci, qualche dubbio nei pochi incroci, tutti dissolti sapientemente da Marco che si era munito di traccia. Dopo circa cinque ore, quasi 12 chilometri percorsi e 750 metri di dislivello siamo di nuovo alle macchine. Chiaramente con un sole ormai spavaldo e caldissimo mentre sulla montagna sfilavano ancora stracci di nuvole. Non male per questo anello in “riva” al mare, una piccola montagna che sa regalare scorci suggestivi, esposizioni aree, l’insolita presenza del mare e panorami vastissimi. Mi sono mancate le sagome delle isole Pontine, sepolte dalle basse nuvole, un motivo per tornarci presto, ormai dopo le inevitabili calure estive. In estate invece so che ci tornerò, ma di sera, partenza non prima delle 18, per salire fin dove è possibile per godermi un tramonto sul mare che già pregusto imperioso ed indimenticabile e per dare “sale al mare” con ritorno in notturna con tanto di lampada frontale. Non rimaneva che chiudere la giornata in maniera consona al posto; antipasto di polpo e spaghetti con le vongole veraci in un ristorante prenotato ad hoc dal giorno prima. Birra e vino bianco leggermente frizzante (che scendeva senza farsi pregare) per brindare a questa insolita uscita e a questi amici stupendi. Giacomo, Luca e Marco grazie per aver voluto ripetere questa salita a così poca distanza dalla precedente e per averci regalato, oltre la vostra compagnia, davvero tanta leggerezza che visti i tempi, è sempre cosa preziosa. E mi raccomando, non dite a quelli del Club2000 che in cinque,sui 541 mt. del monte Circeo collezionavamo ben 1059 cime; l'espulsione sarebbe pressochè automatica!!